L'accessibilità non è un lusso da concedere, ma un diritto di ogni individuo.
OGGI, 3 DICEMBRE, #Giornatainternazionaledellepersonecondisabilità, Sport Paralimpico News farà una panoramica su quelle che sono le dimensioni della vita di una persona con disabilità e le criticità da risolvere per il raggiungimento della piena e totale accessibilità.
DIMENSIONE 1: ACCESSIBILITÀ NELLO SPORT
Parlare di accessibilità nello sport significa parlare di un diritto basilare: permettere a ogni persona di praticare attività fisica senza ostacoli inutili, senza barriere che non hanno niente a che fare con la voglia di mettersi in gioco.
Lo sport comincia dall’ingresso in struttura, non dal fischio d’inizio. Per molti, partecipare a un corso o entrare in una palestra è immediato. Per altri, purtroppo, è ancora un percorso pieno di imprevisti: rampe assenti o troppo ripide, ascensori fuori uso, spogliatoi impraticabili, docce non adattate, percorsi confusi o non adeguatamente segnalati. La realtà è semplice: lo sport dovrebbe essere fatica fisica, non una prova per accedere alla struttura. L’accessibilità riguarda anche le attrezzature. Carrozzine sportive, protesi progettate per il movimento, ausili per il nuoto, strumenti tattili o sonori sono fondamentali, ma non basta che esistano: devono essere disponibili, moderni e sostenibili economicamente. Se fare sport diventa un lusso, non è più una possibilità reale per tuttə. Un altro elemento decisivo è la competenza di chi guida l’attività. Allenatori, tecnici e personale delle strutture dovrebbero sapere come adattare esercizi, comunicare in modo chiaro, garantire sicurezza e autonomia. Una buona formazione non è un favore a chi ha esigenze particolari: è una condizione indispensabile per praticare sport in modo professionale e rispettoso. L’accessibilità passa anche dalla cultura sportiva. Esiste ancora la tendenza a considerare lo sport praticato da persone con disabilità come una versione “alternativa” o “speciale”, quando invece è semplicemente sport, con la stessa serietà, lo stesso impegno e la stessa qualità. Cambiare lo sguardo significa riconoscere la normalità della presenza di tutte le persone nell’attività sportiva, senza stupirsi quando partecipano o competono.
DIMENSIONE 2: ACCESSIBILITÀ NEL LAVORO
Oggi l’accessibilità e l’inclusione sul lavoro sono come l’avocado nel toast: tutti ne parlano, pochi sanno davvero cosa sia, e molti lo usano solo per fare bella figura nelle foto su LinkedIn. “Noi siamo inclusivi!”, proclamano fieri, mentre l’unica cosa realmente accessibile in azienda è… la macchinetta del caffè (sempre che non sia rotta).
Essere inclusivi, però, non significa piazzare una rampa all’ingresso e sentirsi immediatamente Gandhi 2.0. Le barriere culturali e organizzative spesso sono così solide che potrebbero reggere un intero condominio. E la comunicazione? Beh, quella resta un terno al lotto: “Eh ma noi non abbiamo pregiudizi!”… peccato che poi basti una persona diversa dalla media per mandare in tilt la macchina aziendale, stile Windows ’95. Certo, partiamo dalle basi: spazi fisici accessibili. Rampe che non si trasformano in scivoli quando piove, ascensori che non decidono di scioperare nel giorno sbagliato, segnaletica comprensibile anche senza laurea in archeologia, e postazioni ergonomiche che non sembrino strumenti medievali. Poi c’è l’accessibilità digitale, quella cosa misteriosa che molti aziende scambiano per “mettere caratteri un po’ più grandi”. Spoiler: non basta.
Ma il vero divertimento arriva con la cultura aziendale. Tutti parlano di rispetto e diversità, poi però serve un corso di formazione per ricordare ai colleghi che non è carino trattare la diversità come un evento straordinario degno di un documentario di National Geographic. E le politiche anti-discriminazione? Fantastiche! Peccato che spesso restino comodamente parcheggiate sul sito intranet, accanto al regolamento della mensa che nessuno legge. Poi c’è l’organizzazione del lavoro, dove ogni timido tentativo di flessibilità viene accolto come se qualcuno avesse proposto di lavorare in costume da bagno: shock e sgomento. Lavoro agile? Orari adattati? Mansioni calibrate sulle competenze reali? Tutte idee bellissime, purché non richiedano lo sforzo di… beh, cambiare qualcosa. E infine, l’illuminazione finale: investire in inclusione conviene davvero! Aumenta la motivazione, riduce il turnover, migliora la creatività. Insomma, un pacchetto vincente. Ma c’è sempre quel dirigente old school che, nonostante le prove schiaccianti, continua a pensare che “inclusione” sia una spesa superflua, tipo comprare una stampante che non inceppa. Alla fine, creare un ambiente inclusivo non è un vezzo progressista: è semplicemente l’unico modo per permettere alle persone di fare il loro lavoro senza dover superare ostacoli inutili. E quando le persone stanno bene… sorpresa! L’azienda funziona meglio. Ma sì, capisco che a qualcuno questa rivelazione possa sembrare rivoluzionaria quanto scoprire che l’acqua bagna.
DIMENSIONE 3: L'ACCESSIBILITÀ A SCUOLA
Entrare a scuola è sempre un’esperienza diversa per ciascuno di noi. In alcune scuole, le rampe, gli ascensori e i bagni accessibili aiutano davvero chi ha difficoltà motorie a muoversi liberamente. In altre, purtroppo, le barriere architettoniche restano un ostacolo quotidiano. Anche le aule e i laboratori non sempre sono progettati per accogliere tutti: la realtà dell’accessibilità fisica varia molto da istituto a istituto.
La didattica inclusiva, poi, è una sfida continua. Alcuni insegnanti riescono a offrire materiali in diversi formati, come testi digitali o audio, e a dare tempo extra agli studenti che ne hanno bisogno. In altre classi, invece, la mancanza di risorse o di formazione rende più difficile rispondere ai bisogni individuali. Tuttavia, quando ci sono tutor, insegnanti di sostegno o strategie di apprendimento inclusive, si nota quanto questi strumenti possano fare la differenza. Anche l’accessibilità digitale non è sempre garantita. Non tutte le piattaforme scolastiche sono compatibili con gli strumenti di lettura vocale o con software dedicati, e non tutti gli studenti hanno accesso a computer o tablet a casa. Nonostante ciò, molti insegnanti cercano di adattare le lezioni e i materiali per coinvolgere chiunque possa avere difficoltà.
Le leggi italiane – dalla 13/1989 alla 170/2010 – stabiliscono diritti e obblighi, ma la loro applicazione pratica dipende spesso dalle risorse della scuola e dall’impegno del personale. Per questo, creare una cultura scolastica inclusiva resta fondamentale: sensibilizzare studenti e docenti, formare insegnanti e migliorare gli spazi sono passi concreti per far sì che sempre più scuole diventino luoghi in cui tutti possano imparare e partecipare attivamente. Dal punto di vista di un genitore con un figlio autistico, la scuola può essere un’esperienza piena di speranze ma anche di preoccupazioni. Ogni giorno è un equilibrio tra fiducia negli insegnanti e timore che le esigenze specifiche del proprio figlio non vengano comprese o supportate adeguatamente. Le piccole vittorie – come riuscire a comunicare meglio con i compagni o seguire una lezione senza stress eccessivo – diventano momenti preziosi, mentre le difficoltà di adattamento o la mancanza di strumenti inclusivi ricordano quanto ci sia ancora da fare. La collaborazione con gli insegnanti, la co-progettazione di percorsi personalizzati e la costante attenzione ai bisogni emotivi e sensoriali del bambino sono per il genitore elementi fondamentali per rendere la scuola un luogo sicuro e stimolante.
Anche se non tutto è perfetto, si possono vedere piccoli segni di cambiamento: studenti che collaborano, insegnanti che cercano soluzioni creative, aule che lentamente si trasformano in spazi più accessibili. È un percorso lungo, ma ogni passo verso l’inclusione conta, per tutti: studenti, genitori e insegnanti.
DIMENSIONE 4: ACCESSIBILITA' NEI SITI CULTURALI, AGLI EVENTI DAL VIVO E NEI LUOGHI DI AGGREGAZIONE SOCIALE
L'accessibilità a concerti e luoghi culturali è un diritto tutelato dalla legge italiana, che si basa sulla Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità. La normativa prevede che tutti i luoghi pubblici, inclusi quelli di svago e culturali, debbano essere accessibili, anche se la strada per la piena attuazione è ancora lunga.
Pare che alla Camera sia comparso un nuovo disegno di legge sull’accessibilità ai concerti. Una iniziativa così innovativa che il Comitato del Manifesto l’ha definita… insoddisfacente. Ma proprio tanto. Talmente tanto che Lisa Noja e lo stesso Comitato hanno dovuto presentare una sfilza di emendamenti per ricordare al legislatore che “accessibilità” non significa solo “abbiamo messo la rampa, arrivederci e grazie”. No, perché — udite udite — alle persone con disabilità potrebbe interessare anche vedere il palco, sedersi insieme agli altri e comprare i biglietti senza dover decifrare enigmi degni della Sfinge. Il movimento Live For All, come spiega Valentina Tomirotti, ha un obiettivo rivoluzionario: passare dall’accessibilità per gentile concessione (quando capita, se capita) a quella prevista per legge, così magari smettiamo di affidarci alla buona volontà del primo promoter illuminato.
Si parla di ripensare tutto, dal sistema di ticketing che non sembri un percorso a ostacoli, ai parcheggi riservati che non spariscono per magia, passando per comunicazioni che non ignorino metà del pubblico, camerini che non siano labirinti e – incredibile ma vero – servizi come interpreti LIS, sottotitoli e percorsi sensoriali per chi non vede o vede poco. Il 3 luglio scorso, nella prestigiosa Sala Caduti di Nassiriya del Senato, è stata presentata questa benedetta proposta di legge: una legge quadro che dovrebbe imporre criteri minimi e obblighi veri, non buone intenzioni buttate lì. L’idea, in fondo, è semplice: rendere gli eventi live accessibili non solo nei luoghi, ma anche nei contenuti, e non solo per il pubblico, ma anche per chi nello spettacolo lavora e ha una disabilità.
Insomma, una rivoluzione così logica da sembrare quasi fantascienza.
Vi terremo aggiornati/e sugli sviluppi
